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Riuniti in un unico volume, i due cataloghi monografici delle opere del pittore mantovano Bruno Beltrami: Temi paesaggi disegni, 2010, e Natura / Uomo, 2020. 100 pagine a colori.

Il volume è acquistabile direttamente dal sito Mantova Guide.

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Della pittura di Bruno Beltrami ho già avuto modo di scrivere in altra occasione.

Bruno Beltrami è un pittore con alle spalle una lunga produzione, iniziata sul finire degli anni ‘50 del ‘900 e da allora mai interrotta. È di quegli artisti indifferenti al successo di pubblico, per i quali il rapporto con la propria creatività è prevalentemente, se non esclusivamente, una consuetudine privata e intima, compiuta in sé. E per certi versi è un peccato, perché non pochi dipinti di Bruno Beltrami meriterebbero di stare nelle collezioni novecentesche di vari musei: non solo per la qualità tecnica, ma anche per l’attenzione alle tematiche sociali ed antropologiche del proprio tempo.

D’altra parte Bruno Beltrami è anche pittore mantovano, che alla città virgiliana e al suo territorio ha dedicato all’inizio e da più anni a questa parte molta attenzione, cogliendone con sapienza le peculiarità

Non sempre ad esempio si pensa che, pur trovandosi quasi a far da ombelico alla Pianura padana, il Mantovano è in realtà terra d’acqua: fiumi, laghi, fossi, stagni, canali, cave. La città stessa altro non è che un’isola, per secoli interamente abbracciata dall’impaludamento del Mincio. Tant’è che il carattere dei suoi abitanti è ancora oggi isolano.

E il Mincio ricorre fin dagli acerbi, ma già interessanti, oli degli esordi di Bruno Beltrami, come in Vaporetto sul Mincio del 1956 o Mincio in piena del 1963. È però dai primi anni del nuovo millennio, quando i temi sociali, così urgenti nei decenni precedenti, lasciano spazio alla meditazione sul paesaggio, che le acque mantovane assurgono al ruolo di vere e proprie protagoniste. Davvero numerosi sono gli esempi e, tra i molti, si possono ricordare Il Mincio a Governolo del 2002, Novembre del 2005, La grande piena del 2008, Acqua-luce del 2011, Crepuscolo sul lago del 2014 o il recentissimo La palude del 2020.

È una vera e propria meditazione sul paesaggio, in cui la riflessione sulla luce nelle differenti stagioni diviene non di rado l’oggetto principale dello studio nel ripetersi del soggetto. Il che accade anche con la campagna, l’altro innegabile componente del panorama mantovano. È il caso ad esempio di Mattino invernale del 2017, Estate mantovana del 2017 o ancora Primavera mantovana del 2018.

Non mancano naturalmente gli scorci urbani. Fin dagli inizi Bruno Beltrami ritrae la piccola Mantova, con preferenza quasi esclusiva per gli angoli: un tetto, un vicolo, una porta, una parete, uno slargo. Nascono così gli ingenui e fiabeschi Piazza Virgiliana del 1960, L’abside del 1962, Composizione con neve del 1963, Tetti del 1965. Ma anche i più maturi e spesso nostalgici La prima casa del 2014, Civiltà perdute del 2019 o Vicolo san Crispino del 2019.

E, tra questi studi più recenti, quelli sulla città d’acqua, quali Luci al crepuscolo del 2014 o Mantovaneve del 2019. Ma più di tutti La città sognata del 2013, che coglie così bene, pur forse senza piena intenzione da parte del pittore, proprio quel carattere di Mantova isola, geografico e antropologico al tempo, del quale dicevo sopra.

Un’isola che oggi sarebbe ora di iniziare a scoprire.

- Pubblicato da Daniele Lucchini su Mantova Guide il 23 febbraio 2020.

🏺 Visita la mostra virtuale Mantova nei dipinti di Bruno Beltrami allestita sul sito di Mantova Guide dal 26 febbraio 2020.

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È dalle tensioni estetiche del padre che Bruno Beltrami eredita e costruisce una piattaforma generativa di ricerca, di educazione, di passioni e di coinvolgimento sentimentale, ideali per produrre pittura. Come se le caratteristiche genetiche potessero trasmettere i segni magici dell’alfabeto dell’arte, come se la sapienza estetica potesse essere il rapido testimone delle staffette degli atleti, la capacità di elaborare una tavolozza, densa di fragili note cromatiche, si configura in una serie di memorie impressioniste, di reminiscenze allusive a una dimensione modesta e fugace dell’esistenza umana che accendono un prolifico percorso emulativo, un esempio lampante di familiari assonanze. La bellezza passa davvero di mano anche se sollecita altre limpide e autonome soluzioni pittoriche. Con Bruno germoglia un nuovo paesaggio sottilmente emotivo. Autentici spettacoli di territorio vengono riletti e reinventati, grazie alle opportunità alla sua capacità di tradurre in colore le molteplici manifestazioni di luce e di colore del mondo che lo circonda. Bruno, come il padre, si fa allora anche poeta, libero di dipingere in immagini di ispirata suggestione non tanto ciò che vede ma ciò che, vedendo, ricrea. Per Giove! Ma è buona pittura anche la tua, amico Bruno, che ti sei dilettato a dipingere cieli azzurri e nuvole come Edoardo. Immagino perciò che il vecchio padre ti osservi da lassù, dalle sue nuvole. Edoardo - ne sono certo - sbircia il figlio Bruno smarrito tra bagliori luministici forse emersi dal nitore di una nebbia settembrina. E lo squadra negli anni in cui una critica alla relazione uomo/natura lo conduce ad essenzializzare forme e colori. E si diverte a osservare le sue figure muliebri, quelle che emergono negli anni ottanta. Ed io, mentre osservo le tracce della tua figurazione, colma di debiti familiari, intravvedo un intreccio di citazioni colte, di imprescindibili riferimenti culturali. E poi mi incuriosisco per il tuo restless universe, un universo inquieto, che affiora nella rappresentazione di una umanità che gioca a dadi sotto la croce, di madri di colore che vorrebbero generare figli bianchi, di migranti in cammino verso una società dei consumi che impoverisce chi è già povero. Una critica sociale lascia affiorare dunque una diversa ispirata creatività. Ma Bruno non ha mai del tutto abbandonato il suo speciale rapporto col paesaggio, con la luce riflessa dai laghi, con immagini che hanno sempre l’incanto dei baluginii lacustri mantovani. E la pittura è sempre stata un rarefarsi di una divertita materialità pittorica. La qualità tecnica, sotto i colpi di una ispirata scrittura pittorica, ha sempre evidenziato l’essenza di una storia, di uno studio e di necessari antefatti. Perché dietro i segni deve sentirsi lo spessore intellettuale. Perché dietro ogni immagine deve celarsi la nostra dolorosa storia. Perché senza tutto ciò ogni cosa annegherebbe nelle acque torbide del vacuo virtuosismo. Una autentica ricerca espressiva si alza perciò oltre l’eleganza del significante artistico, un significante che balla sensuale come una danzatrice di tango vestita di pizzi scuri in una notte senza luna e senza stelle. L’elemento oscuro sollecita talvolta le corde dell’anima a muoversi in libertà, fuori da schemi. Alla fine resta la piena consapevolezza dell’autenticità preziosa di una pittura emozionale (completamente distante dagli esiti di Nerio) ma perfetta per sollecitare il percepibile che affiora tra suggestione e apparizione, tra accordi lirici di colore e una concezione dell’arte quale strumento di penetrazione di valori della realtà.

  • Giancarlo Ferlisi, curatore della mostra "I Beltrami, quando una famiglia di artisti si racconta ", marzo 2018.
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Quando mi è stato chiesto dalla redazione di Caffè Mantova di scrivere, in quanto suo conoscitore, un pezzo sulla pittura di Bruno Beltrami, mi sono subito ritrovato di fronte alla difficoltà di racchiuderla nel breve spazio a mia disposizione. Una figura artistica complessa, con un percorso ultratrentennale che ha attraversato fasi evolutive diverse, giunta ad uno stile inconfondibile, difficile da dimenticare per chi abbia avuto la fortuna di ammirarne una delle tele. Vi si legge infatti una profondità, una capacità di analisi attraverso la forma, quale il Novecento pittorico ci aveva fatta dimenticare. Perché infatti Bruno Beltrami non nega l'arte formale per darsi ad astrattismi, che ormai oggi suonano più di stanchi cliché che non di dirompente novità, ma la mantiene e la carica di significati. La figura umana c'è, però non è più solo un ritratto; essa diventa anche il tramite per una riflessione sul proprio esserci, sul proprio ruolo nei confronti di sè stessa e del mondo. È una rappresentazione iconograficamente realistica che si veste anche di una dimensione altrettanto vera, seppur non visibile; è una sorta di sovrarealtà, e solo in tale senso si può parlare di surrealismo per l'opera di Bruno Beltrami.

In questo lavoro di riflessione le figure sembrano alterarsi, semplificarsi: diventano essenziali. La persona è nuda e le sue fattezze individuali si annullano per diventare la caratteristica comune a tutti gli uomini: un corpo fragile, quasi effimero, che trova la propria forza nel ruolo che il pensiero e il comportamento gli fanno rivestire. E da qui lo stacco dal o la dissolvenza nel paesaggio, nello sfondo. La tensione umana si gioca tutta nel rapporto che l'individuo saprà e vorrà intessere con l'ambiente che lo circonda, sia esso sociale o naturale, come più spesso accade. Tensione che viene sistematicamente resa con incredibile intensità dall'uso dei colori, poche varianti quasi sempre di due tonalità: rosa e azzurro. Un colore caldo e uno freddo, il femminile e il maschile, le due alternanze tra le quali si consuma il movimento dell'uomo. Ma le tinte non si fanno mai cupe e non creano contrasti cromatici violenti; tendono anzi spesso ad amalgamarsi, a sfumare lievemente le une nelle altre, così come sfumato ed impercettibile è normalmente il confine tra il bene e il male, tra la ragione e il torto, tra il vero e il falso.

E in questa facilità di coniugazioni si legge lo spessore artistico di Bruno Beltrami, come pure l'impronta del suo carattere di persona pacata e riflessiva, che sa penetrare profondamente quanto osserva, e forse proprio per questo tanto schiva delle luci della ribalta.

- Pubblicato il 13 giugno 2002 da Daniele Lucchini su Caffè Mantova.